A trentuno anni si interrompe bruscamente la sua scalata al successo, la sfortunata carriera di un idolo indiscusso dei tifosi.
Classe 1986 arriva a giocare ad alti livelli abbastanza presto, nel 2009 finisce nella rosa di una delle squadre più blasonate del campionato. Il fisco slanciato e il capello biondo, esterno infaticabile sulla fascia destra, diventa sin da subito uno dei beniamini della tifoseria. In campo ha sempre dato tutto, non lo si è mai visto – nemmeno una volta – uscire dal rettangolo verde con la casacca asciutta.
Tra lui e i supporter si viene a creare un legame fortissimo, li ripaga dell’affetto contribuendo alla vittoria di quattro campionati e due supercoppe nazionali – oltre a far iscrivere il club all’edizione 2011/2012 della Champions League, un traguardo fino ad allora insperato. Nell’Europa che conta si mette in mostra la Camp Nou e a San Siro poi il trasferimento in Germania, all’Hannover, nel 2014; è da lì in poi che la sua vita cambia per sempre.
Era un predestinato, poi la sua vita prende una piega inaspettata
I medici della compagine tedesca infatti durante i controlli di routine rilevano una sindrome da affaticamento cronico, una vera e propria condanna per un calciatore professionista. La particolare patologia fa provare molta più fatica nello sforzo rispetto a una persona che non ne è affetta. Una notizia che non lo sconvolge più di tanto, in realtà, visto che delle avvisaglie si erano palesate già qualche tempo prima.
Dopo un’esperienza non troppo brillante all’estero Frantisek Rajtoral torna brevemente al Viktoria Plzen, la sua casa per tanti anni, e nel 2016 passa al Gaziantep, squadra turca. La sua intera esistenza è capovolta in questo periodo: la malattia è sotto controllo ma la fidanzata lo molla e sente la guerra vicinissima, al confine con la Siria. Il 23 aprile i media diffondono il comunicato della sua morte, la società aveva mandato la polizia a casa sua perché stranamente non si era presentato agli allenamenti.
Fanno ancora eco le parole del presidente del club, che lo descrisse come un ragazzo “sempre di buon umore” e che non si capacitava di come potesse essere accaduto. Il calciatore si è suicidato a soli 31 anni, a oggi i motivi della sua decisione sono ancora poco chiari.